Roma e l'Italia ricordano, cento anni dopo, il grande Nino Manfredi

Manfredi (che nella foto sopra vediamo con Delia Boccardo e Lionel Stander, nel film del '71 "Per grazia ricevuta") nasce a Castro dei Volsci, nel Frusinate, nel 1921. Nella capitale si trasferisce da giovanissimo con la famiglia, studia, tra l'altro, al celebre Istituto "Santa Maria" di Viale Manzoni e nel '37 si ammala di tubercolosi. Costretto a un lungo periodo in sanatorio, qui impara a suonare un banjo da lui stesso costruito, ed entra a far parte del complessino dell’ospedale. Il "colpo di fulmine" per la recitazione avviene proprio in sanatorio, dopo aver assistito a un’esibizione della compagnia teatrale di Vittorio De Sica. La famiglia, però, lo costringe a proseguire gli studi e a iscriversi alla facoltà di Giurisprudenza, dove si laurea in diritto penale, pur studiando al tempo stesso recitazione. Nel 1947 si diploma, infatti, all’Accademia d’Arte Drammatica, stesso anno in cui inizia a calcare il palcoscenico. A teatro sin da subito collabora con i più grandi, tra cui anche Strehler ed Eduardo. Meno di un decennio dopo, nel 1949 debutta al cinema, mentre in tv nel 1956: tra le sue migliori partecipazioni in tv, da ricordare lo sceneggiato del '58 "Il giocatore" (dal romanzo di Dostoewskij), la storica "Canzonissima", sempre del '58, inseme a Paolo Panelli e a Delia Scala, e il "Pinocchio" di Comencini (1972), in cui dà vita a un indimenticabile Geppetto.
Ma, come accennavamo, è soprattutto il cinema, il campo in cui Nino ha dato il meglio di sè: interpretando soprattutto - un po' come Alberto Sordi .- l'italiano medio, ma anche ruoli di piu' ampio respiro, dal comico, soprattutto, al drammatico, e spesso toccando temi di grande spessore in forma solo apparentemente disimpegnata. Sono circa 60 i film a cui Manfredi ha preso parte tra grandi e piccoli ruoli. Qui vogliamo ricordare soprattutto "C'eravano tanto amati", di Ettore Scola (1974), grande affresco storico con al centro le vicende di 4 amici dalla Resistenza agli anni '70, "Pane e cioccolata", di Franco Brusati (1974), amara carrellata sulle condizioni di vita degli emigrati italiani in Germania, "Per grazia ricevuta", diretto dallo stesso Manfredi (1971), intelligente critica al modo distorto in cui è stata spesso vissuta la religiosità in Italia, specie nella piu' profonda provincia. E poi i 3 film, con Luig Magni, sulla Roma dell' 800, tra cospiratori giacobini, Repubblica Romana del'49 e ultime convulsioni del potere temporale del Papa: "Nell'anno del Signore" (1970), "In nome del popolo sovrano" (1990, dove Nino è il grande Ciceruacchio) e "In nome del Papa re" (1977).
Ultima, struggente interpretazione di Nino - fatta piu'di sguardi intensi che di parole - è stata nel 2003, poco prima di morire, quella di Federico Garcia Lorca ne "La fine di un mistero", fim dello spagnolo Miguel Hermoso. Dove s'immagina che il grande poeta di Granada si sia salvato dalla fucilazione del' 36: perdendo però la memoria per il trauma subìto, e riducendosi a vivere in miseria. Dalla quale lo salverà, molti decenni dopo, la stessa persona che, ragazzo al tempo della guerra civile, l'aveva soccorso in punto di morte.
Per ricordare Manfredi, la RAI ha ritrasmesso, la sera di sabato 20 marzo, un film a lui dedicato, In arte Nino (2017), con protagonista il versatile Elio Germano. Mentre lunedì sera, per il centenario della nascita, gli dedica il documentario Uno, nessuno, cento Nino, diretto (come già per la fiction con Germano) dal figlio Luca.

Questo è un articolo pubblicato il 22-03-2021 alle 09:55 sul giornale del 23 marzo 2021 - 159 letture
In questo articolo si parla di roma, spettacoli, lazio, articolo, Fabrizio Federici
L'indirizzo breve è
https://vivere.me/bTM3